Nelle prossime settimane il Governo dovrebbe proporre le indicazioni per passare alla cosiddetta Fase 2
dell’emergenza sanitaria in atto. Lo spazio pubblico tornerà, presumibilmente, a riprendere la sua
importanza. Vista l’importanza di mantenere le correte distanze, ci chiediamo se ci sarà spazio per tutti.
One thing I can tell you is
You got to be free
The Beatles, Come Together, in Abbey Road, 1969
Stanze verdi
L’Agenzia delle Entrate, nel suo rapporto Gli Immobili in Italia 2019, evidenzia che a Milano la superfice media delle abitazioni per abitante è pari a 52 mq.
Ognuno di noi (compresi i bambini) avrebbe a disposizione, insomma, un piccolo bilocale, come spazio residenziale privato. Ciò è ovviamente una forzatura, che non descrive perfettamente la realtà, ma che ci fa capire che la dotazione di spazi residenziali potrebbe essere, a Milano, piuttosto buona, per una grande cità, se fosse equamente distribuita (qualcuno vive da solo in 100 mq, alcune famiglie sono in quattro in 60 mq), a confronto con la media in Italia di 67 mq/abitante e soprattutto con la dimensione dell’alloggio minimo secondo regolamento edilizio di Milano, pari a 28 mq.
Un altro dato, però, ci sembra significativo nella situazione di emergenza in cui ci troviamo: a Milano, secondo dati ISTAT aggiornato al 2018, sono present 18 mq di verde fruibile per abitante (parchi, giardini, verde sportivo, etc. Escluso il verde agricolo produttivo, in quanto non ritenuto fruibile). Un dato ancora una volta intermedio, se consideriamo che in Italia i metri quadrati per abitante sono 31 e che il minimo di legge secondo gli standard urbanistici è pari a 9 mq per abitante.
Ragioniamo dunque in astrato.
18 mq di superficie corrispondono a un cerchio di raggio pari a circa 2,4 metri.
Se tutti gli abitanti di Milano si disponessero omogeneamente sulla superficie totale di verde si distanzierebbero di circa 5 metri l’uno dall’altro, quasi 5 volte la distanza consigliata dagli esperti italiani per evitare contagio da COVID.
Se qualche settimana fa ci interrogavamo su quali ripercussioni potesse avere l’imperativo Restate a casa e quali conseguenze avrebbe potuto generare, soprattutto pensando a chi vive in condizioni disagiate, oggi consideriamo che lo spazio pubblico della cità possa effettivamente funzionare come un regolatore sociale nelle differenze dell’abitare.
Ragionando solo su una parte, e neanche la più grande, dello spazio pubblico milanese, ossia il verde, possiamo immaginare che ognuno di noi possieda una stanza all’aperto, di dimensioni limitate, ma non piccola (un soggiorno a Milano deve avere una superficie minima di 14 mq, da regolamento edilizio).
18 metri quadrati di verde diventano la valvola di sfogo di una possibile Fase 2 dell’emergenza COVID, nella quale tutti noi, possiamo, con cautela, iniziare ad uscire, a respirare all’aperto, ad interagire nuovamente con la fisicità della realtà e, a distanza, con le altre persone che abbiamo perso di vista.
Se prendessimo il Parco Sempione come esempio, potremmo calcolare una affluenza pari a circa 21.000 persone, che potrebbe aumentare fino a circa 73.000 persone se ipotizzassimo di mantenere la distanza minima di due metri tra le persone.
È un ragionamento astratto, ma non lontano da possibilità reali.
Ben prima dell’emergenza, i parchi e i giardini milanesi non subivano un affollamento tale da aumentare le possibilità di contagio: l’anno scorso, in concomitanza con festività ed eventi straordinari, il Primo di Maggio e durante l’Adunata degli Alpini, al parco Sempione si sono registrate affluenze eccezionali pari a 100- 120.000 persone. Numeri non lontani da affluenze in sicurezza, considerando appunto l’eccezzionalità degli eventi, soprattutto se rapportate a giornate più normali, quotidiane.
Con una logistica minimamente progettata si potrebbe pensare di stimolare le persone ad usare gli spazi verdi evitando assembramenti, cercando di distribuirsi sul territorio, magari ipotizzando orari differenti. Ovviamente si dovrebbe pensare ad una attività di promozione degli spazi verdi meno usati, spesso più periferici, eppure di grande qualità (dal Parco della Valtabbia, al Parco agricolo del Ticinello, fino al grande sistema del Parco di Trenno/Boscoincittà/Parco delle Cave, per fare alcuni esempi), che permetterebbero di evitare eventuali concentrazioni di persone nei parchi più centrali.
Ma, in questo senso, dovremmo anche sfruttare le conseguenze di questa emergenza come opportunità per migliorare gli spazi di prossimità, che si distribuiscono in maniera più omogenea sul territorio, grazie a delle dimensioni contenute: sono piccoli giardini, spesso, che diventano vitali quando il movimento è limitato, come abbiamo potuto appurare nelle ultime settimane.
Gli spazi verdi in cità (soprattutto quelli di medie/grandi dimensioni), infatti, non sono equamente distribuiti in tute le zone urbane (basta consultare una mappa per accorgersi delle grandi differenze tra Est e Ovest di Milano) e proprio per questo bisognerebbe ripensare alle dotazioni di spazi pubblici, che definiscano meticolosamente dei sistemi di vicinanza (Le Paris du 1⁄4 heure, per esempio).
Gli stessi spazi verdi, poi, potrebbero essere allestiti in maniera tale da favorirne differenti e nuovi usi: come nella prima grande manifestazione post-COVID, a Tel Aviv, si potrebbe immaginare di posizionare dei reticoli temporanei a terra, di allestire tavoli e sedie alle giuste distanze in alcuni punti, invitando le persone a lavorare all’esterno, come in grandi co-working naturali, magari con isole digitali e connessione wi-fi gratuita. Potremmo finalmente progettare un ritorno alle scuole all’aperto, elemento per cui Milano era famosa, grazie alla Scuola del Trotter: piccoli gruppi di bambini e ragazzi, con un numero adeguato di personale a seguirli, potrebbero disporsi in maniera sicura e godere di tutti benefici dello stare fuori, tanto più che la stagione ora lo permette.
Potremmo, infine, ragionare su un ultimo dato: a Milano gli spazi verdi di pertinenza delle scuole ammontano a più di un milione di metri quadrati; potremmo finalmente pensare alle scuole non più come luoghi usato da una bassissima percentuale di cittadini (i bambini) durante alcune ore e poi quasi abbandonati al di fuori degli orari scolastici e in estate. Apriamone i giardini, provando a pensare anche gli edifici come dei veri e propri Centri Civici, che possano fornire spazi e servizi all’intera popolazione urbana in questo momento particolare.
Oggi, dopo due mesi di chiusura e avendone avvertito la mancanza come mai prima, sentiamo che è necessario riprenderci lo spazio di tutti, provando a spingere in avanti, e non indietro, gli sforzi per una sua maggiore qualità e fruibilità, che possa provare a parificare la nostra condizione individuale e darci maggiore benessere: lo spazio pubblico, allora, non sarà solo elemento di uguaglianza, ma anche di cura, permettendoci di godere dei benefici fisici e psichici del sole, del verde, dell’aria (più pulita del normale) e del movimento.
She asked me to stay
And she told me to sit anywhere
The Beatles, Norwegian Wood (This Bird Has Flown), in Rubber Soul, 1965