Prologo e invocazione
“Sono contrario al sesso prima del matrimonio. Fa arrivare tardi alla cerimonia.” Come nella famosa freddura di Woody Allen, il dispositivo che sta alla base di un gioco di parole, un motto di spirito o una vignetta non è contenuto nei singoli elementi verbali o iconici che lo costituiscono. Le loro parti prese una per una non generano in noi alcun effetto particolare; esse anzi appartengono spesso al patrimonio collettivo delle frasi fatte o dei luoghi comuni, la cui struttura ha generato nel tempo una sorta di collante che impedisce al pensiero di penetrare nelle sue connessioni interne e comprendere davvero la sua anatomia e fisiologia.
Ogni motto di spirito contiene – anche quando reso inoffensivo dal contesto specifico – una potenziale minaccia contro l’ordine costituito dei riflessi automatici che guidano la vita quotidiana nel flusso delle parole e delle immagini. L.H.O.O.Q. (letto «Elle a Chaud au Cul»), il titolo adolescenziale dei famosi “Baffi alla Gioconda” di Marcel Duchamp, attesta tra altri mille il continuo legame tra goliardia e avanguardia, tra satira e rivoluzione.
(Prima apparizione di P.V.)
“La maggior parte delle persone vedono con l’intelletto molto più sovente che con gli occhi. Al posto di spazi colorati, esse prendono conoscenza di concetti. Una forma cubica, biancastra, in altezza, e forata da riflessi di vetri è immediatamente una casa, per loro: la Casa! Idea complessa, accordo di qualità astratte. Se si spostano, il movimento delle file di finestre, la traslazione delle superfici che sfigura continuamente la loro sensazione, gli sfuggono – in quanto il concetto non cambia. Piuttosto percepiscono secondo un lessico che, per mezzo della retina, s’avvicinano sì male agli oggetti, conoscono sì vagamente il piacere e le sofferenze di vedervi che hanno inventato i Bei Posti. Il resto, lo ignorano.”(1)
Le stesse tecniche di contaminazione, montaggio e straniamento semantico che sono alla base dell’umorismo hanno prodotto anche le creature mostruose che popolavano le visione ultraterrene di Hieronymus Bosch o le donne acefale dei collage di Karel Teige. Esiste tuttavia all’interno della storia del pensiero e dell’arte un loro uso più sottile; esso non ha intenzioni né minacciose né dissacranti, ma piuttosto socratiche o zen, e quindi velatamente pedagogiche. Quello che gli inglesi chiamano “wit” e gli spagnoli “agudeza” sottintende un meccanismo di alterazione abbinato a una maestria ricostruttiva piuttosto che a una volontà di distruzione o sovvertimento. La “Agudeza y arte de ingenio” di Balthasar Gracian propugna un delicato equilibrio tra bellezza e arguzia, tra critica delle convenzioni e azione etica, e non a caso Charles Baudelaire accostava dandysmo e ascetismo.
Nell’eliminare il fregio dorico dalla trabeazione inferiore del cortile di Palazzo Massimo alle Colonne, Baldassarre Peruzzi lascia intenzionalmente nell’architrave le guttae in corrispondenza ai triglifi scomparsi: una traccia chiara per gli intendenti della propria disciplina, che sanno leggere l’alterazione calcolata come suprema figura dell’intelletto.
(Seconda apparizione di P.V.)
“Per l’intelletto puro, niente è futile, niente è importante. Per questo gli uomini molto intellettuali e più autenticamente intellettuali scherzano facilmente. E scherzano in maniera abituale – in qualche modo senza scherzare, col gioco distaccato delle loro organizzazioni verbali e plastiche. Fanno giocare gruppi di similitudini, e le distinte possibilità delle singole parti del loro patrimonio psichico come altri fanno con i loro muscoli.
Questo modo scandalizza le persone tarde e le persone avide. Coloro che ignorano come una ridda di tratti, di rapporti fortuiti, di rapide fantasie inutili sgombrino la mente e la preparino a individuare il “problema”, a illuminare i suoi innumerevoli dati, a depolarizzarlo, a sondarlo fino all’essenziale.” (2)
Sia le “persone tarde” che “le persone avide” hanno bisogno del sistema delle convenzioni sociali: le prime per riceverne istruzioni di comportamento quotidiano, le seconde per massimizzare il proprio tornaconto all’interno delle loro maglie. Gli “architetti tardi” e gli “architetti avidi” hanno similmente bisogno dei “Bei Posti”: gli uni per copiarne meccanicamente il supposto prestigio, gli altri per speronarli con inoffensivi cunei di cemento o tentacoli di metallo al fine di stupire un pubblico stanco in cerca di nuove sensazioni.
Ekphrasis e apologia
I collage architettonici di Marialuisa Montanari sono costruzioni di un “intelletto puro”; in essi “niente è futile, niente è importante”. In maniera al contempo sorniona e profonda, essi “fanno giocare tra loro gruppi di similitudini”. In una poesia, la rima e l’allitterazione rendono manifeste attraverso il puro accostamento le parziali identità di forma tra parole dal contenuto del tutto eteronomo; nel farlo, esse generano risonanze inattese tra significati distinti che appagano i nostri sensi e il nostro intelletto.
Le analogie formali tra parti di architetture diverse dei collage di MLM producono una catena di conseguenze, creando un’attrazione fatale tra oggetti generati in tempi diversi, in luoghi eteronomi, da autori distinti, con programmi e scopi specifici, animati da obiettivi e valori non comparabili.
Questi collage non sono semplici haiku visivi dove la maestria combinatoria genera sorpresa e diletto. Nella loro apparente levità, essi costituiscono una vera e propria critica ai fondamenti della disciplina architettonica, in particolare a quelli che sorreggono il modello “funzionalista”, dove la forma architettonica sarebbe solo il risultato finale dell’elaborazione di una serie di dati da parte di un “metodo” a prova di errore.
Al cospetto di questi collage realizziamo con i sensi quanto disposizioni o configurazioni architettoniche – i tedeschi le chiamerebbero “Gestaltung”– seppur costruite in tempi e in luoghi specifici, una volta edificate assumano una vita propria, autonoma, dimenticando forse il programma e il senso originario, per generare insieme a mille altre un immenso alfabeto di ideogrammi spaziali. Le distopie e le discronie generate dai collage di MLM diventano plausibili in virtù della forza di attrazione interna della nuova molecola creata in laboratorio.
(Terza apparizione di P.V.)
“Alla tendenza ad approfondire il senso di una Parola d’uso, e alla credenza dell’esistenza di un vero significato (e di una cosa significata da esso) di quella parola, si deve opporre – l’idea della storia di quella parola in noi – ovvero come è stata appresa da noi, intesa in x frasi, adoperata da noi ecc. Essa ha contratto dei legami – vissuto – subìto delle risonanze. Il centauro e la sirena esistono soltanto nella misura in cui non si ha il tempo di dissezionarli.”(3)
Come molte altre creature fantastiche, i centauri e le sirene di pietra inventate nelle sempre più colte operazioni di montaggio di MLM prendono vita propria: la loro paradossale “verosimiglianza” le fa entrare a testa alta nel bagaglio delle favole e delle leggende la cui ripetizione rende vive alla pari della cronaca.
Il Pantheon sormontato dal Palazzetto dello Sport di Pierluigi Nervi, Il Duomo di Milano sorretto dai contrafforti dell’Istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò o il Palazzo Ducale di Venezia appoggiato sul Museo di Sao Paulo di Lina Bo Bardi prendono degno posto vicino alle “architetture mai nate” – Il Cenotafio di Newton di Étienne-Lois Boullée, il Chicago Tribune di Adolf Loos, Il Danteum di Lingeri e Terragni, le Walking Cities degli Archigram – e pur sempre presenti tra le pagine degli abecedari che formano gli architetti alle prime armi.
Epilogo e congedo edificante
“Ho studiato tutti i Padri della Chiesa, ma me la pagheranno!” direbbe con il sorriso di Voltaire Marialuisa Montanari; il suo bestiario architettonico sconfigge tutte le teorie evoluzionistiche alla base delle storie dell’arte studiate sui banchi di scuola, per generare una rete di riferimenti incrociati degni del Mnemosyne di Aby Warburg o delle immagini postate sui muri del Padre Logos ne Il Monte Analogo di René Daumal.
Se la loro tecnica è in parte ereditata da quella dei collage delle avanguardie storiche – in particolare dalle Grosstadt di Paul Citroen che ispirarono perfino la Metropolis di Fritz Lang – i lavori di MLM sono tuttavia lontani dagli intenti delle stesse. Il rinnovato dibattito sulla Città Analoga di Aldo Rossi e amici – notoriamente criticata da Manfredo Tafuri nel suo testo su “Ceci n’est pas une Ville” (Lotus International n°13, 1976) per la sua inquietante ambiguità – si dispiega in quella condizione di “orizzontalità colta”, libera di creare connessioni tra fenomeni ideologicamente lontani tra loro, mostrata dalle menti migliori della giovane architettura internazionale.
(Quarta e ultima apparizione di P.V.)
“Come il logico moderno ricostruisce nella matematica l’edificio molto antico non conservandone che gli assiomi strettamente sufficienti per condurre i ragionamenti; così estrarre dalla tradizione letteraria le forme caratteristiche solo della letteratura, e in particolare della poesia, costruire un sistema puro, dove niente si ordina o entra che non sia ‘immagine’, sonorità nette, tempi, figura pulita e risonanza pura, prolungata, delle parole; ci si arriva quasi naturalmente alla fine di un’età eccessivamente verbale.”(4)
L’elemento seriale dei lavori di MLM – postati ad arte su Instagram e commentati da lunghe didascalie che rivelano l’arcano agli intendenti e danno una traccia investigativa ai neofiti – ha tutti i caratteri dell’evento contemporaneo, che accetta la tattica – piuttosto che la strategia – come unica azione dotata di efficacia culturale nel mondo distratto dei media.
Cino Zucchi
Note:
1, Paul Valéry, Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci (1894), in Scritti su Leonardo, Milano 1984, p.34.
2, Paul Valéry, Quaderni, volume primo, Milano 1985, p. 362.
3, Paul Valéry, Quaderni, vol. II, Adelphi, Milano 1986, pp. 75-76.
4, Paul Valéry, Ego Scriptor (1910), Parigi 1973, p.71