Quando fotografare diventa parte della tua vita quotidiana! Forse questo è per me, il modo di narrare gli scatti di una donna, architetto, molto sensibile e attenta ai fenomeni urbani che ci circondano. Alessandra Forte, cui non credo interessino gli strumenti fotografici ipertecnologici o gli apparecchi incredibilmente sofisticati, si muove per Milano, città in cui vive e lavora, con uno smartphone di ultima generazione, sempre pronta a cogliere dalle più piccole, alle più macroscopiche contraddizioni della modernità, trasformare ogni scatto in un evento significativo e degno di essere osservato, commentato, e con un clic accogliere il nostro ci piace (sono tanti quelli delle foto di Alessandra) al suo nicname Aleaforte!
Alessandra, come me e molti altri, usa Instagram per descrivere e raccontare questo suo mondo, un microcosmo che si muove tra la periferia e il complesso, contraddittorio universo della città moderna, piena di malesseri urbani, di conflitti segnici, che si accumulano e stratificano e che negli scatti istantanei, che conservano tuttavia una straordinaria dimensione estetica, quanto estatica, assumono una fissità duratura.
Le sue foto mi hanno sempre fatto riflettere su un tema che inseguo da anni come studioso dei fenomeni urbani: il malessere urbano, oggi fortemente accentuato dalla pandemia e reso ancora più estremo nel suo manifestarsi di un vuoto surreale, dolente, silenzioso che ha colpito proprio le città e Milano soprattutto, la città più fotografata da Alessandra Forte.
Il malessere urbano non è una “malattia” descrivibile secondo i canoni dei diversi, comuni disturbi psicosomatici della modernità. Si tratta piuttosto di quel senso di spaesamento (perdita di riferimento del paese/paesaggio, di un luogo riconoscibile), di isolamento, disagio psichico e anche fisico che ci coglie quando ci troviamo alle prese in quei diversi luoghi -delle città italiane- nei quali si percepisce lo smarrimento del minimo comune senso di accoglienza, di urbanità, di umanità, del sentirsi a proprio agio.
Un malessere che ti coglie all’interno di un consistente complesso di realtà urbane, le quali hanno perduto, nel corso degli anni della modernità recente, la serie di fattori -determinanti, attrattivi, riconoscibili da sempre- racchiusi in quel diffuso senso di decoro, bellezza e accoglienza, del piacere di stare e condividere, apprezzare e cogliere sia le culture dell’abitare, dentro e fuori gli spazi aperti urbani e rurali, sia il tessuto delle relazioni umane e il senso di benessere che ne scaturiva. Dalla scomparsa, oggi quasi totale, di queste minime, ma indispensabili condizioni di base per la qualità della vita in ogni centro urbano, piccolo, medio o grande, la sensazione di malessere urbano ci coglie non solo e soprattutto in quei luoghi che siamo già abituati a identificare come periferie, ma troppo spesso, negli ultimi decenni, ovunque nelle città, e non solo in quelle grandi, ma perfino dentro quelle più piccole, e ovunque nei centri urbani, ingrossati e deformati da una lunga e perniciosa stagione di espansioni edilizie, fino a perdere i connotati autentici e originali, le peculiarità, le identità, la stessa originaria, per l’appunto, riconoscibile, fisionomia.
Nascono così, dentro queste condizioni, quella infinita serie di luoghi dello “scontento”, e anche dello sconcerto, contemporaneo, che dopo la prima stagione della modernità, narrata con grande efficacia dal Neo Realismo cinematografico e letterario italiano, dal Pasolini “incursore” nella città malata e nelle periferie degli emarginati, giunge fino ai luoghi odierni, in cui a certe forme ormai note di alienazione si sono aggiunte quelle da iperconnessione e conseguente iperisolamento.
La malattia delle città e dei centri urbani italiani ha radici culturali e sociali anche e soprattutto nelle distorsioni di un lungo periodo di impreparazione della classe politica e governativa, di connivenze tra politica e speculazione -magistralmente descritti in Le Mani sulla Città di Francesco Rosi-, di piani urbanistici dediti a garantire “crescita”, soprattutto edilizia, quantità e raramente qualità. Alberga, tale malessere anche nello stesso disorientamento che subiscono le discipline urbanistiche, dall’inizio degli anni del boom -anni cruciali nel tentativo di costruzione di una nuova fisionomia urbana, del paese modernizzato- perché da un lato si allontana dai suoi originari principi ispiratori -crescita equilibrata, armonia, decoro e bellezza urbana- e dall’altro si ritrova impreparata a cogliere le sfide della modernizzazione, rimanendo piuttosto dedita alla continuazione e messa in attuazione di modelli tra i più tradizionali in Europa. La condizione attuale, dovuta alla “malattia” descritta, oggi più che mai, necessita di essere intercettata e analizzata, in questo breve saggio, e poi spero in un libro, magari con le immagini di Alssandra Forte e di altre e altri bloggers, in un libro, sia con gli strumenti scientifici e di indagine sulle trasformazioni urbane, sia attraverso un viaggio a tappe, tra diversi luoghi, seguendo il filo dell’oscuro malessere urbano, con una narrazione affidata ad una sorta di voce off, che ha il compito di condurre per mano il lettore -anche meno sguarnito di informazioni tecniche- in questo viaggio. Mappe, immagini, cronache e dati aiutano a meglio comprendere la dimensione, localizzazione e portata del fenomeno e alcune possibili soluzioni nei prossimi anni, anche con esperimenti positivi condotti nell’ultimo decennio. Soprattutto ci aiutano a riconoscere, oggi più che mai, quei luoghi dalle città, ai piccoli centri, sui quali il progetto inteso come strumento sociale, oggi può fare la differenza nel raggiungere una nuova dimensione estetica degna di un paese civile, in cui l’architettura rappresenta la bellezza, l’armonia, l’equilibrio. Le scene di vita quotidiana di Alessandra Forte, alle quali spesso non facciamo più caso perchè troppo abituati, se osservate con occhi nuovi possono trasformarsi in verità quotidiane che prendono forma. E non è corretto confondere la spontaneità con l’improvvisazione di quanti biasimano i social come luogo di immagini “superficiali”: in questo luogo ho potuto toccare con mano le estreme declinazioni del malessere urbano.
La naturalezza di una scena rubata da uno scatto presuppone, infatti, la sensibilità e talento nell’aver effettuato una selezione in partenza, avere in mente una cornice di riferimento dentro la quale inscrivere l’immagini e l’istante colto. Alessandra Forte realizza fotografie in grado di testimoniare eventi e situazioni urbane, nelle quali è possibile rintracciare piccole o grandi esperienze emotive, con sensibili scelte narrative prima ancora che tecniche, seguendo il proprio istinto di architetto e la propria estetica della città, il proprio intuito di chi osserva realtà distorte, avendo sempre ben chiaro in mente dove puntare l’obiettivo.
G. Pino Scaglione