Giuseppe P. Scaglione. A volte accadono cose, passa il tempo, poi la vita risponde! Più o meno così Alessandro Baricco in uno dei suoi affascinanti libri, descrive l’incrocio di destini e traiettorie che si diluiscono nel corso delle nostre complesse e poco lineari esistenze.
Il due ottobre, appena trascorso, accade perciò che al mattino presso la Facoltà di Architettura di RomaTre, viene conferita la laurea Honoris causa in Architettura ad Alfredo Pirri, artista italiano, calabrese di Cosenza, affermato in Italia e internazionalmente. Qualche giorno prima Giancarlo Cauteruccio mi invia la locandina del suo spettacolo “Brunelleschi, nella divina proporzione”, che sarà dato al piccolo teatro di Mendicino, seguendo un tour calabrese, proprio il due ottobre sera. Non avendo il dono dell’ubiquità, ma grande desiderio di essere a Roma con Alfredo, opto per seguire a distanza (tramite colleghi docenti di RomaTre) la cerimonia di conferimento. Inoltre, la sera vado a teatro per salutare Giancarlo e vedere il suo Brunelleschi e con tanta buona nostalgia, per ripercorrere e rimettere in piedi, nella mia testa, in questa come altre occasioni un pezzetto della “Scuola di Cosenza” come il buon Giacinto Di Pietrantonio ha battezzato la pattuglia con Pirri, Cauteruccio, Alfano Miglietti, Fullone, Magli e -immodestamente- il sottoscritto, che si sono ritrovati giovanissimi a frequentare l’ultimo anno di Liceo Artistico in una Cosenza anarchica, ribelle, viva, piena di talento e desiderio di cambiare e affermarsi.
Di Alfredo Pirri sono piene le cronache d’arte, ma vorrei aggiungere alcune cose che so di lui, ovvero che sin da ragazzo mi hanno colpito la sua testarda, sana ossessione per l’arte che nelle sue mani si è tradotta in un percorso che col tempo ha assunto un linguaggio così personale e unico da essere irriproducibile. Ossia l’arte di Pirri è sua e di nessun altro, e dentro ci sono dialoghi tra forme, spazi, linguaggi, luoghi, ironia (Alfredo ha un lato impertinente che lo rende perenne ragazzo irriverente verso tutto e tutti e lo salva dalla noia che hanno tanti suoi colleghi). L’arte di Alfredo è fatta di materia e materiali che nella sua testa si compongono e nell’opera si scompongono, è fatta di relazioni e forti emozioni, di dense stratificazioni tra memorie e registrazioni, di suoni e segni, di luce che spesso si insinua nell’ombra, di colore che sfuma o si materializza con intense tonalità acide su candide o riflettenti superfici, le quali come “frattali” per mano sua si frantumano e raddoppiano, moltiplicano le visuali e gli spazi. Difficile davvero da classificare un lavoro così originale, perché la sua ricerca muta con il mutare delle cose che ci accadono di cui Pirri è attento “registratore” e cronista, oltre che esteta e raffinato interprete di una piena contemporaneità che non lascia spazio a nulla, nemmeno ai luoghi in cui abita e lavora che sono “marcati” dal suo senso per una certa solida bellezza, eleganza e gusto.
Al Liceo Artistico di Cosenza, sul finire degli anni Settanta, allora preside il maestro Lupinacci, pittore di talento, discutevamo senza sosta sul ruolo degli artisti e degli architetti e ci confrontavamo sul senso delle nostre prime ricerche che in realtà intersecavano traiettorie trasversali, prendendo l’uno dall’altro e cercando, con fatica ciascuno di noi una propria strada. Giancarlo, discolo anche lui, ora e allora, era già proiettato verso una dimensione in cui lo spazio aveva la capacità di accogliere ogni cosa: dalla parola, alla luce, al suono, alla forma e già vagheggiava di come rendere visibile l’invisibile. Ci riuscirà, perché nell’ampia esperienza formativa di architetto alla Scuola di Firenze, dove già imperversava “L’Anarchitetto” del Gianni Pettena che si opponeva alle concrete forme di Savioli e Ricci, Cauteruccio trova un percorso del tutto nuovo e anticipatore di linguaggi che verranno: la luce e il segno che definiscono spazi/antispazi, liquidi, aerei, eterei ma visibili e tangibili, avvolgenti, architetture imponenti fatte di tanta luce che realizza segni e dialoga con l’ombra nei luoghi e li ridefinisce.
Cauteruccio inventa un linguaggio che poi con la rivoluzione tecnologica sarà così sviluppato da essere quasi definibile come nuova forma d’arte, ma mai densa di significati e rimandi come quelli di Kripton, il nome che non a caso Giancarlo darà al suo teatro-compagnia a Scandicci, il suo oltre ventennale laboratorio nella città toscana a due passi da Firenze, che accoglie il suo irriverente repertorio d’avanguardia capace di contaminare tante realtà e luoghi con le performances evocative e innovative. L’altra sera, al buio del piccolo teatro, con Roberto Visconti, talentuoso attore di incredibile somiglianza con il Maestro Filippo di Ser Brunellesco, felicemente stretto nel mio sedile tra due bellissime amiche donne prese come me dalla narrazione, quando è iniziato il suono (Gianni Maroccolo), le immagini sceniche digitali (Massimo Bevilacqua), la voce dell’attore e ho preso confidenza con testo e regia (Giancarlo Cauteruccio), mi hanno percorso brividi lungo la schiena per l’emozione.
Brunelleschi esordisce con alcune frasi forti, evocative, tra cui una che mi ha ossessionato e ossessiona tuttora “Provare piacere difronte ad una forma…”, una frase che dice molto sull’amore assoluto che lega chi si occupa dello spazio e del progetto da architetto o artista, figure che nel testo di Cauteruccio sfumano e si intersecano senza che l’una prenda il sopravvento sull’altra. In nome di un amore assoluto “la bellezza”, anche questo che per un architetto diventa il valore principale e la ricerca di una intera esistenza. Un architetto geloso, quello di Cauteruccio, ed era così davvero il nostro Filippo, ossessionato dal suo lavoro, al punto da distruggere ogni scritto o bozzetto, inventare codici segreti e costruire macchine straordinarie per fare, realizzare, immaginare, senza mai rivelarne i meccanismi nemmeno a committenti illustri come i Medici. Mi sovvengono splendidi ricordi del mio compianto professore di Storia dell’Architettura Arnaldo Bruschi, che dedicava a Bramante e Brunelleschi ampie parti delle sue lezioni e a lui devo l’amore per questo due figure, soprattutto per Filippo del quale ho sempre sentito la forza interiore, la complessa personalità, la sofferenza per un amore universale quale era il suo per l’architettura. Il conflitto tra continuità del classicismo e contemporaneità, nelle sfide che lo contrappongono al Ghiberti conservatore con il quale Brunelleschi non vuole scendere a patti, non desidera lavorare, intende superare, per affermare un principio moderno tra geometria, tecnica, invenzione, poesia e bellezza, armonia ed equilibrio. Filippo in scena afferma: “Sono un artista, appartengo solo all’arte ed alla bellezza. Ecco i miei figli: facciate, colonne, portici, archi, vuoti e pieni, chiari e scuri. Geometrie di luce. È la matematica a guidare questa rinascita. È la scienza che si fonde con l’arte, che ci porta al centro dello spazio e del tempo”. Parole che lasciano attoniti e che ancora oggi, nella totale perdita di senso e significato per i nostri luoghi e spazi abitati, hanno un valore universale e indissolubile.
La prospettiva e la rottura della regola gotica, l’invenzione di spazi del tutto nuovi, la tecnologia che supera ogni limite e realizza quella cupola “Si amplia da fare ombra a tutti i popoli toscani” mettono però a nudo la solitudine dell’architetto, dell’uomo che non ama se non il suo lavoro, un carattere brusco e impenetrabile, ma una mente così straordinaria da arrivare fino a noi oggi intatta nella sua forza artistica, così potente da avere esteso influenze su artisti, architetti, teorici che dopo di lui avranno vita più facile grazie al suo geniale lavoro di invenzione, teoria e prassi costruttiva. Ma la differenza in questo lavoro di Cauteruccio, come nel lavoro di Pirri, su altri versanti, la fanno la scenografia dinamico/digitale del video mapping, i cangianti paesaggi sonori che accompagnano la rappresentazione e che si fondono e sovrappongono in uno con la voce e il corpo dell’attore, così che questa sublime messa in scena “Filippo Brunelleschi. Nella divina Proporzione” non ha nulla di documentario, se non una originale e unica messa in scena in cui io per primo, e immagino tutti gli spettatori, siamo condotti in un viaggio magico, reale e virtuale, guidati tra le meraviglie brunelleschiane. Alfredo Pirri nel ricevere la sua Laurea ha dichiarato tra le altre cose: “Sono onorato di ricevere la Laurea Magistrale ad Honorem in Architettura, con la seguente motivazione: “riconoscimento per il grande rilievo nel panorama artistico ed architettonico della sua opera e per rappresentare i valori etici della creatività italiana in ambito nazionale e internazionale”. Quello che mi colpisce maggiormente di questa motivazione è il passo dove la parentela fra artistico e architettonico è rafforzata dall’uso di un bellissimo termine, dall’apparenza accessoria: panorama.” Per poi proseguire: “Siamo portati ad immaginare che l’arte e il panorama agiscano in combinazione con l’architettura e il paesaggio, dando vita a punti di fusione, grazie ai quali si creano forme unitarie, che hanno come collante il disegno, che, qui, va inteso come strumento che serve a creare ponti e rapporti fra quanto appare normalmente distante. Da qui il titolo del mio intervento di oggi: Disegni per lo spazio pubblico, dove col termine spazio pubblico deve intendersi una delle declinazioni possibili del binomio panorama-paesaggio (qui intesi come insieme di forme sia esteriori sia interiori).” In fondo il panorama di cui scrive Alfredo è ancora la prospettiva di Filippo, che a distanza di secoli proietta la sua modernità, così come sono anche la scienza e la natura che si fondono con l’arte, la luce che cancella l’ombra o la penetra, le “proiezioni” di Giancarlo, la città dei luoghi degli spazi e delle relazioni. Uno degli ultimi progetti di Pirri è in cima al nuovo teatro a Firenze, e la prospettiva-panorama della sua opera inquadra proprio la cupola di Brunelleschi! E non sarà stato un caso. Filippo, Giancarlo, Alfredo e gli altri ci hanno resi spettatori attratti, catturati di questa meraviglia senza tempo, confini e limiti che si chiama arte, ma si legge vita, amore, passione, sudore, fatica, stupore, bellezza, in una parola: eternità della creazione!