Questo itinerario si muove in luoghi estremi, da quelli più a sud fino a quelli più a nord, all’opposto, intersecando il centro, le isole, con alcune fughe strategiche fuori d’Italia, muovendosi non solo attraverso la geografia, ma dentro la condizione culturale, dei diversi luoghi, e una interpretazione etnica e a tratti anche antropologica, di cui l’architettura, il progetto, si fanno spesso espressione di sintesi.
Viaggiando da Trieste a Torino, il paesaggio è dominato dalla cornice di una lunga sequenza di paesaggi alpini, una sorta di “recinto” a corona, che abbraccia in lungo la megalopoli padana, e, insinuandosi verso nord lungo le valli, il paesaggio inizia un lento e progressivo cambiamento fatto di natura esuberante e intensa, delle eleganti verdi linee agrarie della viticoltura, dello snodarsi sinuoso e morbido delle strade e autostrade, e dalla numerosa serie di centri, posti a raggiera lungo le strade e verso le montagne, a punteggiare il percorso. Spostarsi in queste realtà, con il naso all’insù, alla ricerca di paesaggi, architetture incastonate tra altipiani, rocce, piccole e grandi valli, si delinea un’immagine del nord alpino, a tratti medioevale-fiabesca, con castelli e torri, borghi, lasciandosi alle spalle la Megalopoli padana, e scorgendo i segni recenti ed evidenti della “dolce” moderna metropoli -come ha scritto Bonomi- che dalla pianura si dirama verso i territori alpini. Quando poi si arriva, nel cuore delle città sotto le Alpi, spesso al top per qualità della vita in quasi tutte le classifiche nazionali, si percepiscono, nei luoghi depositari della storia urbana alpina, i tratti di un modello insediativo originario fatto di severità, rigore, aderenza ai luoghi, materiali semplici, ma espressivi. Mentre le città di recente espansione, i centri urbani, hanno assunto le forme dell’urbanizzazione diffusa, che “lungo le valli è risalita fino alla Alpi” (Eugenio Turri), con una qualità costruttiva, fatta anche di severe certificazioni, in cui ancora però, non entrano come parametri determinanti il progetto per i luoghi, lo spazio della città, l’architettura, veri indicatori di grande innovazione e valori di reale contemporaneità, come accade valicando le Alpi verso Austria, Svizzera, Francia.
Una delle tesi che sostengo da sempre, lavorando ed insegnando in questi luoghi dell’estremo nord, ma essendo mediterraneo e del sud, è che chi progetta all’ombra del grande laboratorio delle Alpi è “costretto” ad una attenzione e una sensibilità peculiare, che oltre all’adesione ai nuovi protocolli Casaclima e Leed, nel rispetto dell’ambiente, impone un intelligente e continuo misurarsi con il contesto, il paesaggio, la tradizione e il suo necessario rinnovamento. Lo stesso accade al Sud, dove la forza espressiva dei luoghi costringe ad un serrato e necessario confronto. Una lezione -ad ogni latitudine- che viene da lontano e che ha costruito un solido ponte con la cultura del moderno, anche perché, giova ricordare che le realtà alpine hanno visto protagonisti, tra gli altri, personaggi come Terragni, Giuseppe Pagano, Adalberto Libera, Gino Pollini, Fortunato Depero, schiere di artisti e protagonisti di un grande rinnovamento culturale che affondava radici nella cultura di montagna e nella conseguente tradizione costruttiva, tuttavia scardinandone i luoghi comuni per ricondurre a sintesi moderna i linguaggi.
Spingendosi un po’ più sotto le Alpi orientali, nel Veneto, oggi terra di case e capannoni vuoti, a Vicenza vive, intatto, il genio di Palladio, una dei più grandi architetti della storia il cui lavoro basta e avanza per spazzare via la finta modernità di alcune idiosincrasiche personalità contemporanee. Rileggerlo, oggi, fa ancora bene, anche perché la sua lezione é di grande attualità, soprattutto nel coniugare un linguaggio di segni tipici e locali con forme universali, la campagna veneta e il profilo delle Alpi vicine. All’opposto per tempi e geografia, incrociamo l’altra genialità di Carlo Mollino, che sotto la Mole Antonelliana, e le cime del Bianco, del Rosa, a Torino ha lasciato un’eredità fin troppo ricca e densa, ancora tutta da coltivare e riscoprire. E così, nelle prime tappe del viaggio, tra Nord e Sud e viceversa, in giro soprattutto per la provincia italiana, ricca di progettisti che svolgono un serio e attento lavoro di “condotta”, ossia mettono al servizio di privati e pubbliche amministrazioni la loro esperienza e capacità, professionalità e attenzione ai territori nei quali lavorano, e soprattutto sono animati da una passione e amore per il mestiere che trasuda da ogni progetto o proposta, ci imbattiamo nei lavori di alcuni studi interessanti. Siamo alle prime tappe di questo viaggio, che prosegue e si arricchisce ad ogni puntata, e che, in attesa di vedere la luce su un numero del magazine cartaceo, trova spazio sulla versione web che state leggendo.
Con un repentino spostamento, dopo il cannocchiale alpino, ci siamo spinti verso sud, dopo aver lasciato decantare le immagini di vecchi centri abitati, campi coltivati a perdita d’occhio e sullo sfondo, le montagne dell’Appennino. Abbiamo attraversato questo lungo “cordone ombelicale” montuoso, che dilata le Alpi oltre la loro posizione geografica, che lega nord e sud, sbarrando vie e percorsi, presentandosi a tratti nudo e brullo a tratti ricco di una vegetazione, tipicamente mediterranea, che fa pensare ad una sistematica e pervicace opera di continua piantumazione nel corso di secoli ed epoche. Lasciando per un po’ di soffermarci su Roma, cerniera di questo affascinante luogo che si chiama Italia, ci avviamo verso il Mediterraneo che ha un cuore antico e vivissimo nella Napoli esuberante, ma guarda verso la Spagna ad ovest, la Grecia e la Turchia ad Est, e si conclude, in quelle estese, perimetrali sponde del mare, proprio in Sicilia. Un percorso ricco di suggestioni che inizia già all’epoca dei viaggiatori, dal Settecento in poi, che si sono spinti dalle Alpi fino a queste affascinanti latitudini, e che svela architetture preziose, ricche di decori, ridondanti di barocco e natura, di tufo e pietre laviche, uniche, incastonate tra giardini d’agrumi, uliveti, viste senza confini sul mare, Paesaggi italiani più volte dipinti, fino a tutto l’Ottocento dal pittore delle Alpi, Giovanni Segantini, o da Pellizza da Volpedo, da Giacinto Gigante, Francesco Paolo Michetti, e proprio in Sicilia, da una schiera di vedutisti quali Francesco Lojacono, Ettore De Maria Bergler, Luigi Di Giovanni, Giuseppe Patania, Tommaso Riolo, Francesco Ardizzone Mancini, Francesco Zerilli, Giuseppe Sciuti, Antonino Leto, Michele Catti. Paesaggi sconvolti, agli inizi del ‘900, dalle avanguardie futuriste, dai Balla, da quel Boccioni di Reggio Calabria, rivisitati dalla lucida visionarietà di De Chirico e dai silenzi urbani di Sironi, infine resi acidi e astratti dalle furiose pennellate di Schifano e inquieti e onirici dalle miniature macroscopiche del novello Giotto dei nostri tempi, Enzo Cucchi.
Nel corso del nostro viaggio si colgono i contrasti e si comprendono le differenze. La storia, la memoria collettiva è rimasta, quasi intatta, sulle alture, ad incrostare i muri di vecchi edifici e rinnovare perennemente quel senso nostrano di nostalgia che ci prende in visita ad un qualsiasi luogo erto di ruderi o antichità, mentre l’economia corre nelle valli, dove passano ferrovie, autostrade, superstrade, si addensano le fabbriche e le stazioni ferroviarie, i nuovi e grandi centri commerciali, intorno cui si concentrano i nuovi “non luoghi” del paesaggio urbano d’Italia: tutti uguali, senza soluzione di continuità da nord a sud e viceversa. Scheletri di cemento armato in aumento, in perenne attesa di un vestito definitivo, segnalano l’avvicinarsi verso quel sud di struggente bellezza e al contempo di moderno, esteso degrado che sembra aver rimosso, negato ogni senso estetico, dei luoghi, delle vedute reali e artistiche, e in cui solo la forza di piccole, sapienti architetture, dalla stagione razionalista in poi, resistono all’attacco furioso dell’espansione edilizia. Proprio questo resistere, questo pervicace attaccamento ai luoghi, al mestiere di architetto e al suo potere di cambiare lo sguardo sull’abitare, attraverso il progetto come strumento di indagine e cambiamento, riafferma il senso del decoro di alcune architetture che, prima e ora, diversamente eleganti, originali, uniche rispettano il contesto e lo valorizzano. Quello che risulta evidente a chi osserva con attenzione il disvelarsi dei differenti scenari, dalle Alpi al Mediterraneo e viceversa, è che i segni del nuovo, in questa lunga sequenza di paesaggio, sono tanti e affastellati, ma pochi, selezionati di qualità, eccellenti, in poche e significative eccezioni che fanno la differenza. Da qui in poi la nostra selezione lascia la parola alle immagini. Pino Scaglione (maggio 2021)
Le Architetture di questo viaggio sono pubblicate, durante le diverse puntate del viaggio, nella sezione Architettura del magazine. Questo testo è l’editoriale che introduce l’itinerario.