OvO: Arte e Design, il progetto possibile

Conversazione con Maurizio Orrico ed Enrica Vulcano, a cura di Rosanna Algieri e G. Pino Scaglione

Enrica Vulcano, Maurizio Orrico e un collaboratore, fotografati da Luca Chistè

Il progetto Ovo Design nasce da un’idea di Maurizio Orrico e Enrica Vulcano con la mostra “Liberi dentro- Ultima cena”, curata da Giacinto di Pietrantonio durante il periodo del FuoriSalone 2019. Gli ergastolani del carcere di massima sicurezza realizzano piatti in ceramica che raccontano i progetti e le idee di Mario Airò, Atelier Biagetti ,CTRLZAK , Jan Fabre, Ugo La Pietra, Lorenzo Marini, Alessandro Mendini, Fabio Novembre, Paola Pivi, Denis Santachiara, Patrick Tuttofuoco e Vedovamazzei.

Al lavoro in studio a Cosenza, Luca Chistè;

Senza mai abbandonare la ceramica, OvO design lavora anche su altri progetti, realizza prototipi di oggetti di design fattI a mano e crea Archileo, nome composto da ARCHI(MEDE) E GALI(LEO. Le due verità filosofiche-scientifiche dell’inventore e dello scienziato si incontrano e si fondono in una semplice carriola trasformata in seduta mobile, esposta per la prima volta nel Settembre 2020 presso la galleria The Pool of NY. Con la collaborazione dei galleristi Viola e Gianluigi nasce l’idea di realizzare le ceramiche fatte a mano per arredare le nuove suite del Mandarin Oriental di Como. L’esperienza insieme ai galleristi e agli architetti Laura e Diego, coinvolgente ed entusiasmante, si ispira ai tre rami del lago di Como nel Medium Vase e nel Ceramic New Vase, al misticismo fluido delle profonde acque del lago e ai suoi giochi di luce caleidoscopici negli altri oggetti.

Maurizio Orrico e Rosanna Algieri, nel corso dell’intervista; foto Luca Chistè;

RA: Quando e dove inizia il lavoro creativo di Maurizio Orrico? Maurizio, Inizia nel lontano 1982-83, un inizio casuale dettato dal desiderio di portare sulla tela un pensiero, un’idea. Il primo approccio è stato però con la macchina fotografica, grazie alla passione di mio padre. I protagonisti dei miei scatti sono stati inizialmente i miei familiari. Da lì mi sono avvicinato, gradualmente, al mondo dell’arte, del quale sono innamorato. Tuttavia, non ho mai intrapreso un percorso accademico formale. Il mio primo vero lavoro è stato nel campo della moda, che probabilmente mi ha aiutato ad avere uno sguardo diverso sul mondo dell’arte. Avevo dei negozi ed ero sempre alla ricerca di giovani stilisti, mi è sempre piaciuto ricercare. Pian piano ho lasciato la moda, non avevo voglia di stare dentro un negozio di provincia, che mi ricordava un po’ un loculo.

RA: Quanto ha influenzato la tua città d’origine, Cosenza, la Calabria in generale e il mito del mediterraneo nelle tue creazioni? Maurizio, Il mito del mediterraneo è sicuramente insito in ognuno di noi. Con la Calabria c’è un rapporto di amore e odio. La ami perché ti da alcune cose ma la odi perché ti toglie altro, vedi cose che non vorresti vedere. Il sud è molto presente nelle mie produzioni, un esempio sono le Teste dei Mori: sul packaging ho voluto che venisse riportata la dicitura “made in south Italy”. Questo è un lavoro di design, ci rifacciamo al passato ma lo reinterpretiamo in chiave contemporanea. Stessa cosa per la mia reinterpretazione della Madonna di Bagnara, resa, nel rispetto di chi crede, più pop, per dare un ché di contemporaneità anche alla fede.

Archileo, poltrona mobile;

RA: Nei tuoi oggetti c’è gusto e ironia, possiamo dire un po’ di dissacrazione dell’arte ufficiale. Come combini queste scelte e quali sono le priorità che selezioni per le tue produzioni? Maurizio, Non c’è una priorità, il processo creativo parte più che altro da una ispirazione. Ne è un esempio “Archileo”, una poltrona, la cui origine è una semplicissima carriola: durante un mio lavoro presso i Bocs Art Museum[1], i giardinieri ne avevano ribaltata una per farne una rudimentale seduta all’ora di pranzo. “Archileo” però si evolve e diventa una libreria, decostruendo ancora una volta la funzione dell’oggetto ispiratore: da trasportatore di terra e macerie a trasportatore di cultura.

Archileo, poltrona mobile;

RA: Tu lavori su un tema che ti è molto caro, la percezione sensoriale. Il tuo percorso artistico ne è permeato, cosa rappresenta per te la percezione? Maurizio, Precisamente si tratta di un lavoro che avevo intrapreso con l’architetto Eugenio Anselmo. Si trattava un laboratorio multisensoriale, il nostro obiettivo era quello di rendere visibile ciò che non è visibile per alcune persone. Quindi volevamo attuare una ricerca sul tatto, l’olfatto in favore dei non vedenti. Purtroppo, l’architetto Anselmo è venuto a mancare e il progetto si è fermato, ma solo temporaneamente. Sto riflettendo su come riprendere un tema così delicato.

Teste, il progetto più recente e accattivante di OvO; foto Luca Chistè;

RA: Come sappiamo hai esposto nelle più importanti capitali europee dell’arte ma torni sempre a Cosenza. Come ti approcci al locale e al globale di questo dualismo? Maurizio, Le idee nascono dovunque, le mostre le devi fare in luoghi che ti garantiscono un pubblico attento, ma a Cosenza ho lo spazio giusto per produrre concretamente, qui ci sono le attrezzature e le maestranze, cioè ciò che ti permette di mettere in pratica una idea. Fino allo scorso anno avevo uno studio anche a Milano, che ho dovuto lasciare causa COVID. Ad ogni modo avevo sempre una certa difficoltà a produrre, mentre al Sud mi risulta sempre più facile; voglio portare un esempio del 2019 “l’Ultima Cena” Per questo evento sono stati invitati importanti designers, ognuno dei quali ha prodotto un posto a tavola. Il tutto è avvenuto presso il carcere di massima sicurezza di Rossano. Fondamentale la presenza, all’interno della struttura, del laboratorio del ceramista Francesco Pirri.

Alcuni pezzi del progetto Ultima Cena, d aun’idea di Maurizio Orrico e Enrica Vulcano, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, nella foto, con Enrica e Den Santachiara;

RA: Quindi il Sud ti da la possibilità di produrre ma non ti comprende a pieno? Maurizio, Nel Sud Italia c’è la difficoltà di essere compreso e il rischio di essere frainteso. Credo nella possibilità che un lavoro possa piacere o meno, ma credo anche che le azioni degli artisti debbano essere viste con un occhio diverso. Il mio lavoro, per quanto mi riguarda, non vuole mai scadere nella volgarità.

RA: Tra Maurizio Orrico artista e Maurizio Orrico designer chi prende il sopravvento? Maurizio, Vince sempre l’artista. Quello del designer è un lavoro ludico a mio avviso. Tavoli e sedie già esistono, il designer li può banalmente abbellirli o anche farne oggetti inutili. Il mondo del design è pieno di prodotti che non hanno una reale funzionalità, io stesso come designer produco oggetti inutili. Si tratta di sperimentazioni, che talvolta sono ispirazione per oggetti futuri, ma intanto ci riempiamo di molte cose che hanno una mera funzione estetica. Resta il fatto che io, dal canto mio, mi diverto molto.

RA: Se dovessi descriverti, quale definizione useresti per identificarti nelle tue creazioni? Maurizio, Il maiale! La mia scelta è dettata dal fatto che l’essere umano e il maiale hanno molto in comune, sono entrambi ingordi. Il maiale lo fa per istinto primordiale. E noi? Anche! Quindi: io sono un maiale.

RA: Ci racconti dei tuoi ultimi lavori? Maurizio, Come artista il mio ultimo lavoro è la maschera “distanza un metro 2020”. Racconto con ironia il distanziamento sociale. Che da due anni circa ci è stato raccontato, attraverso incongruenze e contraddizioni. Poi c’è “G.o.a.l- Global Opportunity Art Love”, questo lavoro che presenteremo a Parigi. Attraverso il quale si vuole richiamare simbolicamente il gioco del calcio. Nell’esistenza di tutti, a prescindere dal sesso, il pallone, la sfera, è un qualcosa con il quale ci si è relazionati al meno uno volta. Si vuole esprimere l’importanza del concetto di “fare goal nella vita”.  Altro lavoro come artista è questo quadro dallo sfondo bianco con su il n.10. rappresenta Maradona che nella sua vita estrema ha fatto tanti goal ma ne ha subiti altrettanti. E poi tanto altro…

RA: Ultima domanda. Sei tra i promotori di Cosenza Bocs Art (1), cosa resta di questa esperienza compiuta con Giacinto di Pietrantonio? Maurizio, Credo che si tratti un progetto meraviglioso, che ha reso Cosenza veramente internazionale nel mondo dell’arte. Era diventata una delle residenze d’artista più note, a darle quel valore aggiunto è che il progetto sia stato promosso in prima linea dall’amministrazione comunale. Non credo esista in Italia un comune che abbia investito tanto in arte contemporanea. Cosenza, sotto questo aspetto, era diventata molto ambita da molti artisti internazionali. Ciò non toglie che le finanze non bastano mai, quindi il dissesto ha fatto si che le attività si fermassero.

Le teste in lavorazione nello studio; foto G. Pino Scaglione;

RA: Enrica Vulcano, giovane designer, dove come, nasce la tua formazione con quale orientamento rispetto al progetto? Enrica: il mio percorso nasce presso l’Accademia Naba di Milano, con studi sul Design, un indirizzo specifico in Interior Design, laurea in progettazione di interni, poi ho continuato con il Master, perché già al secondo anno di università conobbi Maurizio Orrico, e iniziai una sorta di collaborazione, come assistente. Ho seguito Maurizio per diversi anni, curato una mostra sul suo lavoro, poi mi sono fermata perché non avevo mai avuto uno stacco tra laurea e vita, così mi sono fermata due mesi in modo da riuscire a capire cosa volessi fare. Così ho proseguito il progetto di sodalizio Orrico-Vulcano, come designer portando dentro l’esperienza di lavoro sul prodotto, sui materiali, sulle forme ma riflettendo sull’architettura di interni e sulla banalità di molti oggetti che popolano il nostro abitare. Sui piccoli e grandi oggetti che vanno a posizionarsi in un ambiente vi è poca ricerca, così mi è sembrato utile concentrarci su quell’unica identità dell’oggetto nel living, che richiedono, nella fase d’ideazione e progetto, e poi realizzazione, un processo molto lungo, dal disegno ai materiali, alla funzionalità, fattibilità, dentro un processo affascinante.

la serie di Piatti de “L’ultima Cena” di Maurizio ed Enrica;

RA: Quindi dopo Milano il passaggio in Calabria, nel laboratorio di Cosenza ha rappresentato la fusione del connubio creativo con Maurizio Orrico? Enrica: Dopo Milano, lavorare in Calabria con Maurizio, con uno sguardo e una dimensione comunque internazionali, nonché mediterranea, è stata una scelta di campo, senza però perdere la relazione con la capitale lombarda, luogo-snodo di ricerche e produzioni. Poi, il periodo del lockdown ha portato me, come altri, a tornare un pò tutti nelle proprie terre d’origine, dove si lavora anche bene e ci sono molte persone interessanti. Così è iniziato il percorso sulla ceramica d’autore e altri esperimenti di progetto ed esecuzione in progress che ora stiamo sviluppando.

RA: Quindi Cosenza potrebbe essere diventato, in questo percorso, un posto dove aprire una via sperimentale nuova, muovendosi sulla scia dell’artigianato e non dell’industria? Enrica: Esatto, diciamo che è così, e la ricerca sulla ceramica è positiva perché è un lavoro che muove dall’ideazione, al progetto, alla realizzazione, che controlliamo in ogni fase, qui, in questo spazio a Cosenza e con alcuni laboratori vicini. Qui è bello lavorare misurandosi con i tempi lenti tipici di questa terra meridiana, ma ciò che viene prodotto qui, si porta fuori, altrove, a Milano, a Parigi, a Londra, dove c’è un mercato che chiede pezzi autentici, originali, unici per l’abitare, dentro una nuova dimensione del “decor”. Ma qui restano le “tracce” e le basi di questa ricerca, e lavoriamo anche per capire come portare fuori, comunicare, questi progetti e al contempo qui, così che capiamo che il nord, Milano, sono lo snodo per uscire e poi tornare con uno sguardo diverso. E posso dire che di questa latitudine apprezzo una qualità di vita migliore, con tempi diversi, e le diverse occasioni di ispirazione.

RA: Dunque sembra di poter dire che il design incontra l’arte, Enrica Vulcano incontra Maurizio Orrico, e dunque quando esattamente, e come, nasce il vostro sodalizio professionale? Enrica: ripeto ci siamo conosciuti già quando frequentavo il secondo anno di università, poi rivisti a Cosenza, ma incontrandoci di nuovo a Milano, abbiamo curato insieme il progetto “Liberi Dentro, ultima cena”, una collezione di ceramiche d’autore, che nel 2019, con l’esposizione al Fuorisalone, e la curatela di Giacinto Di Pietrantonio, ha visto, oltre che noi, grandi artisti e designer  – e dove io Maurizio in quel caso eravamo veramente “piccoli”-. Quello è stato il primo progetto dove abbiamo esordito come coppia di design e arte.

RA: Da dove nasce il vostro marchio “ovodesign”, originale senza dubbio, ma perché lo avete scelto? Enrica: Abbiamo scelto l’uovo (ovo) perchè è la perfezione della forma, secondo noi, cioè la forma perfetta, e poi semplicemente raggruppa le iniziali dei cognomi, Orrico/Vulcano, rappresenta inoltre sia il “maschile” che il “femminile”. Ci è piaciuto fin dall’inizio con l’aggiunta di “idee e manufatti”, perché comunque noi ci piace pensarci sempre come “operatori di idee” e poi della creazione, realizzazione, del fatto a mano, che ci piace e contraddistingue: progettiamo, realizziamo. Un riprendere anche, in queste terre del Sud, tradizioni che tendono a scomparire e fonderle con la tecnologia e la sperimentazione.

RA: La coppia di OvO, dunque funziona al meglio tra creatività, arte, design, artigianato? Enrica: Diciamo che c’è molto di artistico, di forme, di mercato, di progetto, soprattutto di progetto, però, perché poi alla creazione degli artisti si aggiunge il lavoro del designer, sempre in una sfera che abbraccia le arti, ma con l’aggiunta di attenzioni al mondo della produzione, della commercializzazione, del circuito di comunicazione. Così forse siamo certi che con OVO, abbiamo rivoluzionato un’idea non solo estetica, ma al contempo progettuale. Da qui, da questa intuizione, parte l’idea e la produzione delle teste di moro, maschili e femminili, rivisitate, credo che siano la parte più originale e attuale del nostro lavoro. Si chiamano “morOvO” e abbiamo immaginato di giocare sulle diverse e intrecciate storie di queste leggendarie teste, però con un tocco molto personale e nostro, esclusivo, in cui le teste sono parte di un gioco creativo e diventano vasi, lampade, oggetti iconici di varie forme e colori assolutamente unici e iconici da collocare in forma significativa nello spazio dell’abitare contemporaneo. Diciamo che dopo il progetto dei piatti d’autore, in cui da giovanissima ho dato tutta me stessa, questo è il naturale seguito e quello nel quale crediamo come opportunità di diffondere il nostro lavoro e la nostra ricerca creativa di sodalizio OvO design idee e manufatti.

RA: Una sola ultima domanda: il sogno del cassetto della designer? Enrica: Credo di aver già realizzato diversi sogni, quindi sono soddisfatta, però lavorare ancora sull’interno, sullo spazio dell’abitare, seguendo la mia indole di progettista di Interior Design, ma anche sull’esterno, Outdoor Design, è un traguardo al quale aspiro, anzi aspiriamo, crescendo sempre di più. Provando anche a far capire cosa veramente facciamo e come, e per esempio conquistando sempre spazi di visibilità come Maison Object a Parigi, dove saremo con i nostri pezzi prossimamente e speriamo in più occasioni.



[1] Ndr importante residenza artistica di Cosenza, presso la quale Orrico ha preso parte per la realizzazione

Previous Story

IN CENTRO STORICO A FAENZA

Next Story

Il cemento e la roccia